Alcune riflessioni su quanto affermato dalle Sezioni Unite
L'ordinanza delle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione n. 15340 del 29/05/2024, su rinvio pregiudiziale del Tribunale di Salerno, a nostro avviso, contiene punti di criticità. In detta ordinanza sono stati trattati due temi relativi ai contratti di mutuo a tasso fisso: - quello della determinatezza/determinabilità dell'oggetto; - quello della "trasparenza". Di straforo è stato toccato il tema dell'anatocismo.
I
Circa il tema della determinatezza/determinabilità dell'oggetto così viene inquadrata la questione: "L'indagine sulla determinatezza dell'oggetto del contratto attiene alla costruzione strutturale dell'operazione negoziale, cioè è volta a verificare che essa abbia confini ben definiti con riguardo all'an e al quantum degli interessi (non legali) che devono essere pattuiti sulla base di criteri oggettivi e insuscettibili di dare luogo a margini di incertezza, non sulla base di elementi indefiniti o rimessi alla discrezionalità di uno dei contraenti". Tale premessa è sostanzialmente corretta ma non può essere trascurato un dato: in un mutuo con rimborso rateale non contano solo l'an e il quantum ma è rilevante anche il quomodo. Peraltro, il quomodo incide sullo stesso quantum degli interessi, posto che la pluralità dei regimi finanziari di calcolo del piano di rimborso stanno a significare diversità quantitativa degli interessi a seconda che si scelga l'uno o l'altro. Secondo le Sezioni Unite l'esigenza di determinatezza/determinabilità dell'oggetto è soddisfatta con la "chiara e inequivoca indicazione dell'importo erogato, della durata del prestito, della periodicità del rimborso e del tasso di interesse predeterminato". Qui, però, dobbiamo farci preliminarmente una domanda: cosa si intende per "oggetto del contratto"? L'oggetto, in un mutuo con rimborso rateale, non può non comprendere, fisiologicamente, necessariamente anche il criterio matematico di calcolo delle rate di rimborso del prestito. Per "oggetto del contratto" si deve intendere, quindi, il complessivo "regolamento degli interessi", ossia non solo l'indicazione del tasso (insieme all'importo del finanziamento, alla durata del prestito e alla periodicità del rimborso) ma anche il criterio prescelto attraverso il quale il tasso stesso viene applicato nel piano rateale. Il discorso entra ancor più in una zona di criticità allorquando viene richiamata la normativa del T.U.B. Scrive la Cassazione: "La doglianza concernente la mancata esplicitazione nel contratto del maggior costo del prestito come effetto del sistema 'composto' di capitalizzazione degli interessi non evidenzia un problema di determinatezza o indeterminatezza dell'oggetto del contratto ma, in ipotesi, di eventuale mancanza di un elemento tipizzante del contratto, previsto dall'art.117, comma 4, T.u.b. ('I contratti indicano il tasso di interesse e ogni altro prezzo e condizione praticati'), che darebbe luogo, semmai, a nullità testuale per la mancata indicazione di un 'prezzo' o costo aggiuntivo del prestito e all'applicazione del tasso sostitutivo". Il punto è che quell'elemento "tipizzante" del contratto (anzi, a maggior ragione se è "tipizzante"), intendendosi per esso il criterio prescelto di calcolo del piano di rimborso, entra a pieno titolo e con i crismi della necessarietà nella determinazione del regolamento degli interessi in quanto senza la sua esplicitazione resta del tutto indeterminato e indeterminabile l'oggetto circa le modalità con le quali viene fissato, all'interno del piano, il rapporto tempo per tempo (rata per rata) tra interessi e capitale. Per arrivare a tale conclusione non ci sarebbe neppure bisogno dell'art.117, comma 4, del T.U.B. ma è certo che il Testo Unico, nel prevedere quell' "elemento tipizzante", non fa altro che definire con più chiarezza, ove ce ne fosse bisogno, il contenuto indefettibile del contratto, quindi il suo oggetto minimo, fisiologico. Non c'entra nulla, poi, affermare, come leggiamo, che "l'indagine sulla determinatezza o indeterminatezza dell'oggetto del contratto non va compiuta con riferimento alla convenienza del contratto e delle sue clausole ...". Infatti, nessuno dice questo. Il problema è del tutto oggettivo (non soggettivo) ed oggi sembra che passi per "determinato" un contratto che tale, oggettivamente, non può mai essere in assenza di quell'elemento.
II
Il secondo tema affrontato è quello della "trasparenza". Anche su questa nozione occorre essere più chiari e, se possibile, più profondi. Per "trasparenza" non può essere intesa semplicemente la forma di pubblicità di un prodotto. La "trasparenza" nei contratti bancari esige che l'intera dinamica precontrattuale e contrattuale ne sia concretamente permeata, in modo tale che il cliente sia nella condizione di prestare liberamente e consapevolmente il suo consenso su un oggetto chiaro e determinato. Scrive la Suprema Corte nel capitolo 16: "Come puntualmente osservato dalla Procura Generale, la differenza tra i due piani di ammortamento non dipende dal fatto che il tasso di interesse effettivo nel caso di ammortamento 'alla francese' sia complessivamente maggiore di quello nominale, quanto piuttosto dall'essere tale effetto riconducibile alla scelta concordata del tempo e del modo del rimborso del capitale". Ma il punto è proprio questo: cosa significa "concordare" una scelta? In tal senso la preventiva "informazione" costituisce una precondizione necessaria ma non sufficiente per definire un negozio concordato. Insomma, il consenso deve essere effettivo e risultare in modo "trasparente" dal contratto su tutti i punti qualificanti, compreso quello di cui stiamo discutendo. Sempre nel capitolo 16 le Sezioni Unite scrivono: "... l'art.117 T.u.b. non richiedeva e non richiede tuttora (a fortiori a pena di nullità) l'esplicitazione del regime di ammortamento nel contratto e analogamente, a livello sistematico, non la richiede la normativa più recente". Il commento sull'art.117, 4° comma, del T.u.b. si ferma qui e pare, francamente, troppo poco. Se è vero, infatti, che tale norma non cita espressamente il "regime di ammortamento", è pur vero che essa menziona una categoria astratta e più ampia che lo contiene" : "... il tasso di interesse e ogni altro prezzo e condizione praticati". Il criterio della capitalizzazione composta o della capitalizzazione semplice costituiscono "condizioni" attraverso le quali si declina il tasso di interesse e, in definitiva, si calcolano gli interessi da pagare. Vengono, poi, citate normative recenti per affermare che nessuna di esse prevederebbe l'obbligo di indicare il regime dell'ammortamento. Fra queste l'art.125 bis, comma 6, del T.u.b. che richiama l'art.121, comma 1, lettera e). Andrebbe considerata, però, anche la norma di cui all'art.125 bis, comma 5, del Tub, che così perentoriamente recita: "Nessuna somma può essere richiesta o addebitata al consumatore se non sulla base di espresse previsioni contrattuali". Ebbene, seguendo tale principio guida non possono essere richieste al consumatore le maggiori somme derivanti dall'utilizzo del criterio di capitalizzazione composta se non vi sia, a monte, una "espressa previsione contrattuale".
Concetto fondamentale espresso nella sentenza in commento è che le esigenze di trasparenza sarebbero soddisfatte dalla "chiara e inequivoca indicazione dell'importo erogato, della durata del prestito, del tasso di interesse nominale (TAN) ed effettivo (TAEG), della periodicità (numero e composizione) delle rate di rimborso con la loro ripartizione per quote di capitale e interessi". Ciò che conta, in sostanza, è che sia soddisfatta "la possibilità per il mutuatario di conoscere agevolmente l'importo totale del rimborso mediante una semplice sommatoria" Questo e questo solo interessa al mutuatario, il quale non può avere alcuna pretesa giuridicamente tutelata di conoscere in che modo si formano i dati di quella "sommatoria" e, quindi, di decidere se prestare il suo consenso sui criteri adottandi. Qui la criticità appare importante e il ragionamento, che passa attraverso quello che sembra un salto (perché mai il mutuatario si dovrebbe “accontentare” dei meri dati quantitativi?), rischia di entrare in collisione proprio con il valore guida della trasparenza. Aggiunge la Suprema Corte: "... il contratto 'trasparente' è quello che lascia intuire o prevedere il livello di rischio o di spesa del contratto (cfr. Cass. n.28884/2023), consentendo al consumatore di avere piena contezza delle condizioni della futura esecuzione del contratto sottoscritto, al momento della sua conclusione, e di essere in possesso di tutti gli elementi idonei a incidere sulla portata del suo impegno (Corte di Giustizia, 20 settembre 2018, cit., p.63 e 67); tale è quello di cui si discute, avendo l'istituto di credito assolto agli obblighi informativi a suo carico tramite il piano di ammortamento allegato al contratto, in base al quale al cliente è assicurata la possibilità di verificare la rispondenza dell'offerta alle proprie esigenze e alla propria situazione finanziaria e di valutarne la convenienza confrontandola con altre offerte presenti eventualmente sul mercato". Insomma, potrebbe sembrare che la trasparenza implichi solo che il mutuatario possa “comprare” un prodotto preconfezionato, non anche che possa esigere la sua partecipazione attivanel processo formativo del contratto così che ogni suo elemento costitutivo sia espressione di una negoziazione, di una scelta, quale quella se gli interessi nel piano di ammortamento debbano essere calcolati sul capitale residuo o sul capitale in scadenza. Qui, invero, rischia di entrare in crisi la struttura stessa del contratto, che è l'"accordo di due o più parti per costituire, regolare o estinguere fra loro un rapporto giuridico patrimoniale". Si potrebbe, allora, toccare la nullità ai sensi degli artt.1418, 2° comma-1325 n.1 c.c., ossia l'assenza di "accordo fra le parti", elemento principe, basilare del contratto. Tornando al "piano di ammortamento, esso consente al mutuatario di ricavare i dati quantitativi degli interessi da pagare ma non di comprendere il criterio di calcolo adottato. Sembrerebbe che ciò che conti, ai fini della trasparenza, sia che venga fornita al cliente una informativa precontrattuale contenente il "riepilogo puntuale delle somme dovute alle varie scadenze tramite un piano redatto in modo chiaro e comprensibile che indichi la periodicità e composizione delle rate, precisando se si prevede il rimborso periodico del solo capitale, dei soli interessi o di entrambi, anziché mediante ricorso a formule lessicali o a espressioni matematiche che vorrebbero spiegare le modalità di calcolo degli interessi ma la cui esigenza di precisione si scontra con un livello di tecnicismo che sfugge alla comprensione dei più ". Si può osservare che se l'esplicitazione della formula matematica (della capitalizzazione composta o semplice) non è comprensibile ai più, ancor meno, evidentemente, tale comprensibilità può aversi leggendo puramente e semplicemente il piano di ammortamento. Non si comprende, invece, quali problemi ci sarebbero a produrre una "formula lessicale" chiara e comprensibile, tipo: "si conviene che il calcolo delle rate nel piano di ammortamento avverrà con il criterio detto 'della capitalizzazione composta', ossia calcolando gli interessi di ogni singola rata sull'intero capitale residuo nel periodo corrispondente alla rata stessa". Il cliente sarebbe consapevole di tale "condizione" (art.117, 4° comma, T.U.B.) e potrebbe, quindi, decidere se prestare o meno il consenso.
III
La sentenza delle Sezioni Unite ha toccato anche il tema dell'anatocismo. Facendo ogni dovuta riserva al singolo caso, ha comunque affermato che il piano di ammortamento alla francese "standardizzato" non comporta anatocismo perché nella formazione delle rate non c'è mai applicazione di interessi su interessi. Il discorso, però, si ferma a ciò che appare e non ci si pone il problema che l'anatocismo possa annidarsi come costo occulto, il che avviene proprio quando il mutuatario non abbia prestato il consenso sul sistema della capitalizzazione composta. In questo caso la frazione del capitale che, applicando il criterio della capitalizzazione semplice (interessi sul capitale esigibile, cioè in scadenza), sarebbe stata detratta dal capitale residuo, resta lì a generare interessi. Quella frazione, cioè, sta dove non dovrebbe stare, ossia sul conto del capitale residuo e se ciò è vero, essa costituisce interesse sul quale si calcolano altri interessi.
IV
C'è un altro punto da esaminare. A proposito del tema della "trasparenza", le Sezioni Unite ritengono idoneo a soddisfarla il piano di ammortamento presentato dalla banca al cliente, in quanto questi riceve(rebbe) tutte le informazioni di cui ha bisogno. In tal modo, si spiega, "è assicurata la possibilità di verificare la rispondenza dell'offerta alle proprie esigenze e alla propria situazione finanziaria e di valutarne la convenienza confrontandola con altre offerte presenti eventualmente sul mercato" In quell'avverbio - "eventualmente" - c'è tanto da capire. Sarebbe interessante, infatti, sapere in quanti casi, in quale percentuale, prendendo la mole dei mutui stipulati in Italia negli ultimi trent’anni, sia stata applicata la capitalizzazione semplice e non quella composta. Qui il discorso della "trasparenza" si lega inevitabilmente a quello della concorrenza.
V
Le Sezioni Unite hanno dichiaratamente tenuto fuori dalla sentenza i casi nei quali manchi l'allegazione del piano di ammortamento. Quid iuris in tale caso? La risposta non dovrebbe essere troppo complicata, partendo dal dato che secondo la Suprema Corte il piano di ammortamento offre il "riepilogo puntuale delle somme dovute alle varie scadenze tramite un piano redatto in modo chiaro e comprensibile che indichi la periodicità e composizione delle rate, precisando se si prevede il rimborso periodico del solo capitale, dei soli interessi o di entrambi" . Il piano di ammortamento soddisfa, secondo la Suprema Corte, l'esigenza della trasparenza tanto che è ritenuto inutile il "ricorso a formule lessicali o a espressioni matematiche che vorrebbero spiegare le modalità di calcolo degli interessi ma la cui esigenza di precisione si scontra con un livello di tecnicismo che sfugge alla comprensione dei più". Ora, se viene a mancare il piano di ammortamento, tutto quel discorso non può più autosostenersi e, a quel punto, non dovrebbero esservi dubbi sulla indeterminatezza dell'oggetto del contratto e sulla violazione delle regole sulla trasparenza di cui all'art.117 T.U.B.
VI
Infine, è rimasto fuori dall'ambito del pronunciamento delle Sezioni Unite il tema dei mutui a tasso variabile. Qui la Suprema Corte ha richiamato la sentenza della C.G.U.E. del 13-7-2023, C-265/22, che ha così statuito: "Una clausola che preveda, nell'ambito di un contratto di mutuo ipotecario, una remunerazione di tale mutuo mediante interessi calcolati sulla base di un tasso variabile con riferimento a un indice ufficiale, il requisito di trasparenza deve essere inteso nel senso che impone, in particolare, che un consumatore medio, normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto, sia posto in grado di comprendere il funzionamento concreto della modalità di calcolo di tale tasso e di valutare in tal modo, sul fondamento di criteri precisi e intelligibili, le conseguenze economiche, potenzialmente significative, di una tale clausola sulle sue obbligazioni finanziarie. Il giudice nazionale deve verificare non solo il contenuto delle informazioni fornite dal mutuante nell'ambito della negoziazione del contratto di mutuo in discussione, ma altresì il fatto che i principali elementi relativi al calcolo dell'indice di riferimento siano facilmente accessibili, grazie alla loro pubblicazione". Peraltro, in tale sentenza la Corte di Giustizia ha espresso anche un principio che tende ad abbattere ogni comportamento di abusività, di mancanza di trasparenza, di pratica occulta, il tutto secondo una portata ampia, come tale non solo, a nostro avviso, relativa ai mutui a tasso variabile ma anche a quelli a tasso fisso: "Una clausola contrattuale deve essere formulata in modo chiaro e comprensibile e, nel caso dei contratti di mutuo, gli istituti finanziari debbono fornire ai mutuatari informazioni sufficienti a consentire a questi ultimi di assumere le proprie decisioni con prudenza e in piena cognizione di causa. Il giudice nazionale, nel valutare le circostanze ricorrenti al momento della conclusione del contratto, e deve verificare che sia stato comunicato al consumatore interessato il complesso degli elementi idonei a incidere sulla portata del suo impegno e che gli consentono di valutare quest'ultima, segnatamente, per quanto riguarda il costo totale del mutuo. Svolgono un ruolo determinante in siffatta valutazione, da un lato, la questione di accertare se le clausole siano formulate in modo chiaro e comprensibile tale da consentire a un consumatore medio, ossia un consumatore normalmente informato e ragionevolmente attento ed avveduto, di valutare un costo del genere e, d'altro lato, la menzione o la mancata menzione nel contratto di credito delle informazioni considerate come essenziali alla luce della natura dei beni o dei servizi che costituiscono l'oggetto del suddetto contratto".